La Madonna rivela gli ultimi suoi anni di vita a Suor Maria di Agreda!

Madre Maria di Agreda fu’ una Suora Spagnola , Badessa del Convento di Agreda, ordine da lei stessa fondato intorno al 1600”…questa Santa suora era dotata di tanti carismi divini che la resero un anima unica, tra i doni ricevuti aveva quello della bilocazione e dopo la sua morte il suo corpo rimasto intatto venne esposto al pubblico per essere venerato…Madre Maria morì il giorno di Pentecoste del 24 maggio 1665 nel suo monastero di Agreda. Lo straordinario fenomeno della conservazione del suo corpo, rimasto inalterato dopo la morte della religiosa, è stato oggetto di quattordici riconoscimenti ufficiali da parte della Chiesa.

Con l’ultimo avvenuto il 20 maggio 1989, venne collocato nella Chiesa della Concezione ed esposto al pubblico…

Uno dei fatti più straordinari del primo periodo della sua vita religiosa fu la catechizzazione degli indios del Nuovo Messico! A questa umile suora la Madonna volle rivelare la vera storia della sua vita, da quando venne concepita sino alla sua morte, storia che Madre Maria Di Agreda trascrisse in un libro intitolato : “Mística Ciudad de Dios” “ la Mistica citta’ di Dio”.

Dove uno dei capitoli che piu’ colpiscono e’ quello in cui l’Arcangelo Gabriele rivela alla Madonna gli ultimi suoi tre anni di vita in questo Mondo e la sua salita in Cielo!

“La Vergine pervenne all’età di sessantasette anni sen­za avere mai interrotto il corso dei suoi meriti né tratte­nuto il volo né mitigato l’incendio del suo ardore, dalla sua immacolata concezione, ed anzi avendo accresciuto tutto questo in ogni istante. Gli ineffabili favori che riceveva la mantenevano divinizzata e sublimata; i sentimenti, gli slan­ci e gli aneliti del suo castissimo cuore non le permetteva­no di riposare fuori dal centro del suo amore; i legami del­la carne erano divenuti violenti; l’inclinazione e la tenden­za dello stesso Eterno a unirla a sé con un laccio perenne e stretto era – a nostro modo di intendere – al culmine del­la forza; la terra, indegna per le colpe degli uomini del te­soro delle altezze, non poteva custodirlo ulteriormente sen­za restituirlo al suo padrone. Il Padre desiderava la sua uni­ca e autentica figlia, il Figlio la sua cara madre e lo Spiri­to gli abbracci della sua incantevole sposa. Gli angeli bra­mavano la vista della loro Regina, i beati quella della loro Signora e tutti i cieli con mute voci chiedevano la loro abi­tatrice e imperatrice, che li riempisse di splendore, di gioia e della sua bellezza e leggiadria. A vantaggio del mondo e della Chiesa peroravano esclusivamente la necessità che questa aveva di un simile modello e la carità del medesi­mo Dio verso i miseri discendenti di Adamo.

Essendo, però, inevitabile che ella arrivasse alla mè­ta del suo pellegrinaggio, nel concistoro della Trinità si di­scusse con quale ordine si dovesse glorificare, e si pesò l’affetto che a lei soltanto spettava per aver soddisfatto lar­gamente e tanto a lungo alla misericordia, rimanendo a fondare e istruire la comunità ecclesiale. L’Onnipotente de­terminò di consolarla e confortarla avvisandola con preci­sione di quanto le restava, affinché, assicurata del giorno e dell’ora del sospirato evento, lo attendesse nella letizia. A tale scopo, Gabriele fu mandato con molti altri ministri superni a notificarle quando e come si sarebbe compiuta la sua esistenza peritura ed ella sarebbe salita a quella in­tramontabile.

Si introdussero nell’oratorio presso la casa del ce­nacolo e la Principessa , che era stesa a forma di croce a invocare clemenza per i peccatori, all’udire le loro armo­nie si pose in ginocchio per ascoltare e guardare il mes­saggero e i suoi compagni, i quali, tutti con vesti bianche e fulgide, la circondarono con mirabile decoro e riveren­za. Avevano in mano palme e corone, ciascuna differente ma ugualmente rappresentante con inestimabile pregio una sua prerogativa. L’arcangelo la salutò con l’Ave Maria» e proseguì: «Nostra sovrana, il Santo dei santi ci invia dalla sua corte perché vi annunciamo da parte sua la felicissi­ma conclusione del vostro esilio. Verrà presto il momento da voi ambito in cui, per mezzo della morte, otterrete il possesso indefettibile della vita senza termine alla destra del vostro Unigenito. Fra tre anni esatti sarete accolta nel gaudio perpetuo dell’empireo, dove tutti già vi aspettano».

Ella provò immenso giubilo nel suo animo candi­do e acceso e, abbassandosi di nuovo al suolo, rispose come all’incarnazione del Verbo: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». Invitò, poi, i serafini e gli altri a darle appoggio nel magnificare l’Altis­simo per un beneficio così grande, e intonò un cantico del quale alternò i versetti con loro per due ore continue. Ben­ché essi siano estremamente solleciti, saggi ed eleganti per natura e per le doti soprannaturali che hanno, superava i suoi vassalli in ogni cosa, poiché in lei la sapienza e la gra­zia abbondavano come maestra e in loro come discepoli. Quindi, umiliandosi ancora, li incaricò di intercedere af­finché fosse preparata al passaggio e tutti, prima di an­darsene, le promisero di obbedirle.

Ormai sola, si prostrò tra lacrime di umiltà e di contentezza e, stringendo la polvere, pronunciò queste pa­role: «Terra, ti ringrazio di avermi sostenuto senza mio me­rito per sessantasette anni, per volontà di colui che ti ha creato. Aiutami per tutto il periodo in cui starò quaggiù, perché, come da te e in te sono stata plasmata, da te e per te io giunga all’agognato fine della contemplazione del mio Autore. E voi, cieli, pianeti, astri ed elementi, formati dal braccio vigoroso del mio diletto, testimoni fedeli e predi­catori della sua maestà, vi ringrazio di quanto avete fatto con i vostri influssi e le vostre virtù per conservarmi. Aiu­tatemi perché, con il favore divino, io migliori e sia più gradita al mio e vostro Artefice».

È da ritenersi che ciò sia accaduto nel giorno di agosto coincidente con quello del suo insigne transito. Da allora ella si infiammò e moltiplicò i suoi esercizi in ma­niera tale che pareva che avesse bisogno di riparare a ne­gligenze o mancanze imputabili a scarso fervore. Il vian­dante affretta il passo quando imbrunisce e ha davanti una buona porzione di cammino. Il bracciante e il salariato aumentano gli sforzi quando sovrasta la sera e il lavoro as­segnato non è ultimato. La Vergine , invece, affrettava il passo delle sue opere eroiche non per timore della notte né per i rischi del viaggio, ma per amore e per l’ardente anelito all’eterna luce; non per arrivare più celermente, ma per entrare più ricca e prospera a godere del sommo Be­ne. Scrisse subito a quanti erano dispersi per la missione per incoraggiarli nella conversione del mondo e successi­vamente ripeté varie volte questa premura. Esortò e con­fermò maggiormente i credenti della zona e, quantunque celasse il suo segreto, si comportava come chi inizia a con­gedarsi e desidera lasciare tutti traboccanti di sublimi elar­gizioni.

A vantaggio di Giovanni militavano ragioni speciali che lo distinguevano dagli altri, poiché era per lei un fi­glio e la curava prodigandosi eccezionalmente. Alla Regi­na, dunque, sembrò conveniente informarlo dell’avviso ri­cevuto, per cui dopo poco tempo, domandatagli la bene­dizione e la licenza di parlare, affermò: «Già vi è noto, mio signore, che io sono la più debitrice e la più vincolata a rimettermi al volere superno e che, se tutto dipende da es­so, in me si deve adempiere pienamente sempre e per sem­pre; e voi siete tenuto ad assistermi in questo, conoscen­do i titoli per i quali io sono interamente del mio Dio. La sua benignità e misericordia mi hanno rivelato che non tarderà la mia dipartita, che sarà fra tre anni. Vi imploro di soccorrermi affinché mi affatichi nel mostrare gratitu­dine all’Onnipotente e nel contraccambiare in qualche mo­do gli straordinari doni della sua generosità e benevolen­za, e vi supplico dall’intimo di pregare per me».

Il cuore appassionato dell’Evangelista si spezzò ed egli, senza essere capace di trattenere l’affanno e il pian­to, disse: «Mia Signora, sono abbandonato al beneplacito del supremo sovrano e al vostro, per acconsentire a quan­to mi comandate, sebbene non riesca a corrispondere ai miei obblighi e alle mie aspirazioni; ma voi proteggetemi con pietà, adesso che rimango povero e orfano della vo­stra deliziosa vicinanza». Oppresso dai singhiozzi, non fu in grado di proferire altro e, benché la dolcissima Princi­pessa lo consolasse e gli facesse animo con tenere ed effi­caci espressioni, da quell’istante restò trafitto da un dardo di dolore e di mestizia tale che lo debilitava: divenne ma­cilento e gli succedeva come ai fiori che, dopo aver segui­to il corso del sole ed esserne stati vivificati, cadono in lan­guore e appassiscono allorché esso si allontana e si na­sconde. Ella lo sostenne nella sua desolazione con molte compassionevoli promesse, assicurandolo che sarebbe sta­ta sua avvocata presso l’Unigenito. L:Apostolo avvertì Gia­como il Minore, il quale da vescovo di Gerusalemme ser­viva con lui l’Imperatrice come Pietro aveva stabilito, e i due presero a starle accanto con più frequenza, in parti­colare il prediletto, che non se ne poteva staccare.

L ‘Altissimo dispose con un’occulta e soave forza che il creato cominciasse a provare la sofferenza e ad antici­pare il cordoglio per colei che conferiva bellezza e perfe­zione all’universo. I Dodici, anche se erano disseminati in ogni regione, percepivano una nuova preoccupazione che catturava l’attenzione, e questa era il tormentoso pensiero del momento in cui sarebbe venuta meno la loro Maestra e difesa, perché l’illuminazione divina suggeriva a tutti che quel termine inevitabile non era distante. I cristiani che abi­tavano nella città santa o in Palestina coglievano in sé, co­me un misterioso annuncio del fatto, che il loro tesoro e il loro gaudio non sarebbe durato a lungo. I cieli, gli astri e i pianeti persero parecchio del proprio splendore, al pari del giorno all’approssimarsi della notte. Gli uccelli per due anni palesarono in maniera singolare la loro tristezza, poi­ché erano soliti accorrere in gran numero circondando il suo oratorio con mirabili voli e movimenti, ed elevavano delle cantilene con voci melanconiche, finché ella non ordinava che lodassero sua Maestà con i normali cinguettii; di ciò fu spesso testimone Giovanni, che si univa a loro nei gemiti. Poco prima del transito, diversi di essi si presenta­rono a lei e abbassarono al suolo le teste e i becchi, lan­ciando lugubri suoni come chi con pena si congeda defini­tivamente e come chiedendole l’ultima benedizione.

Le fiere tennero loro compagnia, perché la Vergi ­ne, in occasione di una delle sue consuete visite ai sacri luoghi della redenzione, appena arrivata al Calvario fu at­torniata da tante bestie selvagge che erano scese da varie montagne per aspettarla. Alcune prostrandosi, altre chi­nandosi e tutte guaendo angosciosamente si fermarono per qualche ora a manifestarle l’angustia che dava loro la par­tenza della donna che confessavano regina e onore del mon­do intero. La maggiore meraviglia di questo mutamento ge­nerale fu che nei sei mesi che precedettero l’evento il sole, la luna e le stelle emisero una luce più tenue, e quando so­praggiunse si eclissarono come era accaduto allo spirare di Gesù’. Delle persone sagge e accorte notarono tali varia­zioni e alterazioni, ma, ignorandone la causa, poterono so­lamente stupirsene. 1 discepoli, invece, assistettero al tra­passo e intesero il sentimento della natura insensibile, che degnamente iniziò presto il suo pianto, mentre quella uma­na, dotata di ragione, non seppe piangere la scomparsa del­la sua legittima Signora e della sua vera gloria. Negli altri esseri pare che si adempisse la profezia di Zaccaria, il qua­le proclamò che in quel giorno sarebbero state in lutto co­me per il primogenito tutte le famiglie della casa di Dio, ognuna separatamente, ognuna a parte. Questo, che fu af­fermato del Figlio dell’eterno Padre e suo, doveva verificarsi anche per lei, primogenita e madre della vita. Come i vassalli leali e grati non si vestono a lutto soltanto alla morte dei sovrani, bensì pure se sono in pericolo, così essi si af­frettarono a mostrare afflizione.

Solo l’Evangelista era con loro, patendo più di tut­ti, senza riuscire a dissimulare con chi gli era più vicino nella dimora in cui era il cenacolo. Specialmente due fan­ciulle che attendevano alla Principessa e altri devoti riflet­terono sullo stato dell’Apostolo, che sovente scorsero in la­crime. Conoscendo la sua serenità, pace e affabilità, capi­rono che quella novità indicava un avvenimento assai du­ro e sconvolgente e con pio desiderio gli domandarono ri­petutamente il motivo del suo dolore. Egli non risponde­va, ma infine, non senza una disposizione superiore, im­portunato da costoro svelò che non era lontana per Maria la conclusione del suo esilio. Dunque, la tribolazione che sovrastava la Chiesa si divulgò e fu lamentata fra alcuni dei più intimi, perché nessuno di coloro che ne ebbero no­tizia fu in grado di contenere i singhiozzi. Da allora in poi furono più assidui nel recarsi da lei e, gettandosi ai suoi piedi e baciando la terra che calpestava, la pregavano di benedirli e trarli dietro a sé e di non dimenticarli nel re­gno dell’Altissimo, dove si portava tutti i loro cuori.

Fu un dono della misericordia e della provvidenza divine che tanti membri della comunità primitiva avesse­ro un simile avviso con rilevante anticipo, poiché l’Onni­potente non invia travagli o mali al suo popolo senza aver­li dichiarati ai suoi servi, come ci garantì per bocca di Amos. Benché questa sofferenza fosse per loro inevitabi­le, la benignità celeste determinò che, per quanto fosse sta­to possibile, guadagnassero con essa il compenso della per­dita di tale guida, vincolandola a sé affinché nel tempo che le restava li arricchisse con l’abbondanza della grazia, che aveva l’autorità di distribuire per consolarli. Fu effettiva­mente così, giacché le sue viscere materne si commossero ed ella, con insigne pietà, al termine della sua esistenza peritura ottenne ad essi e agli altri cristiani nuovi benefi­ci. Il suo Unigenito, appunto per non privarli di questi, non volle togliere loro all’improvviso colei nella quale trovava­no difesa, conforto, gioia, rimedio nelle necessità, sollievo negli affanni, consiglio nei dubbi, salute nelle malattie, soc­corso nelle pene e tutti i beni insieme.

Mai fu delusa la speranza di quelli che la ripose­ro in lei, che sempre salvò chi non oppose resistenza alla sua benevola clemenza; ma non c’è modo di raccontare i prodigi che compì a vantaggio degli uomini nei suoi ulti­mi due anni, per l’enorme afflusso di gente di ogni sorta che la cercava: guarì nel corpo e nello spirito gli infermi che si misero in sua presenza; convertì molti e condusse innumerevoli anime sul retto cammino, distaccandole dal­l’errore; si preoccupò di gravi indigenze dei poveri, elar­gendo agli uni ciò che aveva e ciò che le era stato offerto e aiutando gli altri miracolosamente; confermò tutti nel ti­more del Signore, nella fede e nell’obbedienza; come uni­ca dispensatrice dei tesori superni e dei meriti del Reden­tore, ne spalancò le porte con generosità, per lasciare i suoi figli nella prosperità. Inoltre, li rinfrancò e incoraggiò con la promessa di favorirli tanto, quanto al presente fa dalla destra di sua Maestà.

Mia diletta, per intendere il giubilo che provocò in me l’annuncio dell’approssimarsi del mio transito, occor­rerebbe ponderare la forza del mio amore e della mia bra­ma di giungere alla contemplazione e al godimento di Dio, nella gloria che egli mi teneva pronta. È un mistero che supera la capacità umana, ma i credenti non si rendono neppure degni di penetrarne la parte alla quale potrebbe­ro arrivare, perché non si applicano alla luce interiore ed a purificarsi per accoglierla. Io e Gesù siamo stati ma­gnanimi con te in questo e ti attesto che saranno estre­mamente fortunati gli occhi che vedranno quello che tu hai veduto e gli orecchi che udranno quello che tu hai udi­to. Conserva il tuo possesso e non lo smarrire, impegnan­doti con tutte le energie per conseguire il frutto del mio insegnamento. Da oggi imitami nel prepararti al trapasso, poiché, se avessi qualche informazione al riguardo, ogni scadenza ti dovrebbe sembrare assai vicina per assicurare ciò che in tale ora si deciderà: la tua beatitudine o con­danna eterna. Nessuna creatura ragionevole ebbe il premio così infallibilmente certo come lo ebbi io, e per di più fui presto avvertita della mia dipartita; tuttavia, sai che mi di­sposi con il santo timore conveniente, facendo quanto mi apparteneva come donna terrena e maestra della Chiesa e dando esempio agli altri, che ne erano maggiormente bi­sognosi per non precipitare nella dannazione.

Tra gli assurdi inganni che i demoni hanno intro­dotto non ce riè alcuno più grande e pericoloso della di­menticanza della conclusione della vita e del giusto giudi­zio del rigoroso giudice. Considera che il peccato è entra­to nel mondo attraverso. questa via, perché la cosa princi­pale di cui il serpente pretese di persuadere Eva fu che non sarebbe morta’ e dunque non vi pensasse. Per un simile raggiro, continuato a lungo, sono infiniti gli stolti che non ne serbano il ricordo e pervengono alla fine immemori del­la sorte disgraziata che li attende. Affinché tu non inciam­pi nella suddetta perversità, ritieniti avvisata del fatto che perirai inevitabilmente, che hai avuto molto e pagato poco e che il conto sarà proporzionato alla liberalità con la qua­le sarai stata trattata nei doni e nei talenti come pure nel­le sofferenze. Non voglio da te né più né meno di quello che spetta al tuo sposo: il tuo debito è operare sempre il meglio in qualsiasi luogo, momento e frangente, non am­mettendo trascuratezza, intervallo o negligenza.

Qualora per debolezza tu incorra in un’omissione, non tramonti il sole né passi il giorno senza che tu te ne sia pentita e, potendolo, l’abbia confessata come se fossi al termine della tua esistenza. Proponendo la riparazione, anche per colpe leggerissime, spenditi con nuovo fervore e con nuova sollecitudine, allo stesso modo di chi constata che gli manca il tempo per un’impresa così ardua e diffi­cile come è il raggiungere la felicità perenne e non cade­re nei tormenti. Impiega incessantemente in questo le tue facoltà e i tuoi sensi, perché la tua speranza sia salda e lieta e perché non ti affatichi invano né corra senza mè­ta come chi si accontenta di qualche buona azione e ne compie tante riprensibili e biasimevoli. Costoro non pos­sono procedere sicuri e confidenti, poiché la medesima co­scienza li abbatte e rattrista, se non sono persi nei me­schini piaceri della carne. Per rendere completi i tuoi atti, persisti negli esercizi che ti ho indicato, e tra di essi in quello della morte al quale sei abituata, con le tue orazio­ni, prostrazioni e raccomandazioni dell’anima. Quindi, ri­cevi mentalmente il viatico, come gli agonizzanti, e con­gedati da tutto. Accendi il tuo cuore con il desiderio del Signore e sollevati sino al suo cospetto, dove dovrai avere la tua dimora e dove adesso devi intrattenerti.

Ora che ne avrei più bisogno, mi trovo più pove­ra di ragionamenti e di parole per esprimere qualcosa del­lo stato al quale si innalzò Maria santissima nei suoi ulti­mi giorni, nonché dei suoi voli e dei suoi incomparabili sospiri di arrivare allo stretto amplesso dell’Eterno. Nella natura non c’è un esempio adatto da addurre e, se uno può servire al mio intento, si tratta del fuoco, per la sua cor­rispondenza con l’amore. L’attività e l’energia di questo ele­mento sono più mirabili di quelle di tutti gli altri: nessu­no è maggiormente impaziente nel sopportare catene, giac­ché o si spegne o le spezza per salire con estrema legge­rezza alla sua sfera. Qualora sia rinchiuso nelle viscere del­la terra, spacca il suolo, fende i monti, sradica le rupi e con eccezionale furia, dopo averle divelte, le scaglia sin do­ve permane la spinta che imprime ad esse. Anche nel ca­so in cui la prigione sia di bronzo, se non l’infrange, al­meno ne apre le porte con spaventosa veemenza e con ter­rore di chi è vicino, e manda fuori il globo di metallo che lo arrestava, con l’irruenza che l’esperienza ci insegna. Sif­fatta è questa creatura insensibile.

Nel cuore della Vergine il fuoco dell’amore di Dio – non so spiegarmi con altre immagini – era al massimo grado, ed è chiaro che gli effetti dovessero essere propor­zionati alla causa e non meno meravigliosi nell’ordine del­la grazia, e di così sconfinata grazia. Ella fu costantemen­te pellegrina e unica fenice nel mondo, ma, quando era or­mai sul punto di partire per il cielo e assicurata della fe­lice conclusione del suo esilio, benché si trattenesse quaggiù, la fiamma del suo purissimo spirito si elevava sino al­l’Altissimo. Non era capace di contenere gli impeti del suo intimo e non pareva che fosse arbitra dei suoi moti, poi­ché si era abbandonata completamente al dominio di tale sentimento e alla brama dell’imminente possesso del som­mo Bene, nel quale stava trasformata e dimentica della mortalità. Non scioglieva i vincoli, perché erano mantenu­ti con un prodigio, né sollevava con sé le sue membra, per­ché non era ancora il momento, quantunque l’intensità del suo ardore avrebbe potuto rapirle; però, nella dolce e vi­vace lotta al corpo rimanevano sospese le operazioni vita­li ed esso dalla sua anima divinizzata riceveva soltanto la vita dell’amore, per cui occorreva che quella fisica fosse preservata miracolosamente con un intervento superiore che non la lasciasse dissolvere ad ogni minuto.

Le accadde sovente di ritirarsi in disparte per da­re qualche sfogo a questi slanci, e in solitudine, rompen­do il silenzio affinché non le scoppiasse il petto, diceva: «Mio tenerissimo tesoro, attiratemi dietro alla fragranza dei vostri profumi, che avete fatto gustare alla vostra an­cella e Madre. La mia volontà è sempre stata impiegata per voi, che siete suprema verità e mia ricchezza, e mai ho saputo aver caro altro fuorché voi. O mia gloria e mia speranza! Non si dilunghi più la mia strada verso la mèta dell’agognata libertà. Strappatemi dal carcere, giunga fi­nalmente il termine al quale tendo dall’istante del mio con­cepimento. Molto ho dimorato tra gli abitanti di Cedar, ma tutte le mie forze e le mie facoltà osservano il sole che le irradia, si orientano con la stella fissa che le guida e vengono meno senza avere quanto aspettano. O angeli, per

la vostra nobilissima condizione e per la vostra fortuna di esultare della continua visione del mio stupendo diletto, vi chiedo di avere pietà. Abbiate compassione di me, viatrice tra i figli di Adamo e avvinta dai lacci della carne: riferi­te al vostro e mio Signore il motivo del mio languire, che egli non ignora; comunicategli che per compiacerlo ab­braccio spontaneamente il patire nella mia lontananza, ma non posso vivere in me e, se per vivere vivo in lui, come vivrò distante dalla mia vita? L’amore mi dà la vita e me la toglie. La vita non può vivere senza amore; come vivrò, dunque, senza quella vita che sola amo? In questa soave violenza io mi consumo: manifestatemi, per favore, le qua­lità del nostro sovrano, poiché con tali fiori aromatici avranno un po’ di ristoro i miei deliqui».

Accompagnava così i suoi incendi interiori, con am­mirazione e giubilo dei custodi che l’assistevano. Essi, in­telligenze attentissime e ripiene della scienza superna, in una di simili occasioni le risposero affermando: «Regina nostra, se di nuovo vi è gradito udire le sue caratteristi­che, vi sia noto che è la stessa bellezza e racchiude in sé tutte le perfezioni, al di sopra di qualsiasi desiderio. È de­lizioso senza difetti, incantevole senza pari, piacevole sen­za sospetti. È inestimabile nella saggezza, senza misura nella bontà, senza limiti nella potenza; è immenso nell’es­sere, incomparabile nella grandezza, inaccessibile nella maestà, e tutti i suoi attributi sono infiniti. È terribile nei suoi giudizi, imperscrutabile nei suoi consigli, rettissimo nella giustizia, segretissimo nei suoi pensieri, veridico nel­le sue parole, santo nelle sue opere e ricco di misericordia. Lo spazio non gli dà ampiezza, la strettezza non lo ostacola; la tristezza non lo turba, né lo altera 1’allegria; nella sapienza non si inganna, nel volere non muta; l’ab­bondanza non lo accresce, la necessità non lo diminuisce; la memoria niente gli aggiunge, l’oblio niente gli sottrae; per lui né ciò che già fu è passato, né il futuro succede. Il principio non gli dette origine né il tempo gli darà fine. Senza che una causa abbia dato a lui principio, egli l’ha dato a tutte le cose, e non perché avesse bisogno di qual­cuna di esse”, che al contrario devono partecipare di lui. Le conserva senza fatica, le governa senza confusione. Chi lo segue non cammina nelle tenebre, chi lo conosce è fe­lice, chi lo ama e lo acquista è beato, giacché è generoso con i suoi amici e li condurrà alla sua eterna contempla­zione e vicinanza. Questi è colui che adorate e del quale tra breve godrete per non perderlo mai più».

I colloqui tra Maria e i suoi ministri erano fre­quenti; però, come delle piccole gocce d’acqua non estin­guono la sete di chi è riarso per la febbre, ed anzi l’ac­cendono maggiormente, neppure tali lenitivi mitigavano la sua fiamma, poiché rinnovavano in lei la ragione del do­lore. Benché nei suoi ultimi giorni fossero incessanti i be­nefici che le erano elargiti nelle feste che celebrava e in ogni domenica, con altri che non è possibile riportare, per concederle qualche sollievo e consolazione nelle sue angu­stie l’Unigenito la visitava spesso di persona, confortando­la con mirabili grazie e carezze e assicurandole ancora che il suo esilio sarebbe durato poco: presto l’avrebbe innalza­ta alla sua destra, dove il Padre l’avrebbe collocata sul lo­ro trono e sprofondata nell’abisso della loro divinità, e la sua vista sarebbe stata una gioia per gli eletti, che la sta­vano attendendo e sospirando. Ella allora moltiplicava le orazioni per la Chiesa , per gli apostoli, per i discepoli e per coloro che nei secoli in essa si sarebbero dedicati alla predicazione e alla conversione del mondo, come anche perché tutti accogliessero il Vangelo e venissero all’auten­tica fede.

Tra le meraviglie che il nostro Maestro compì nel­ la Vergine una fu palese non solo a Giovanni, ma pure a numerosi credenti: quando riceveva l’eucaristia, restava per alcune ore così fulgente e radiosa che pareva trasfigurata e con doti di gloria. Questo le era comunicato dal sacro corpo di Gesù, che le si mostrava trasfigurato e più glo­rioso che sul Tabor, e chi la guardava in quello stato era colmato di esultanza e di sentimenti tanto sublimi che po­tevano essere provati piuttosto che dichiarati.

La Principessa stabilì di licenziarsi dai luoghi san­ti prima della sua partenza per il cielo e, avuto il permes­so del prediletto, lasciò la casa con lui e con i suoi mille angeli, i quali, pur avendola sempre servita e pur essen­dole sempre stati accanto in ogni passo dall’istante della sua nascita, le apparvero con più magnificenza e splendo­re, per il nuovo gaudio di stare per risalire con lei nelle altezze. Nel distaccarsi dalle occupazioni umane per av­viarsi alla propria vera patria, si recò in tutti i posti lega­ti alla redenzione, separandosi da ciascuno con copiose e dolci lacrime, con amari ricordi di quanto suo Figlio vi aveva sofferto, con atti fervorosi ed effetti straordinari, e con gemiti e suppliche perché i cristiani fossero perenne­mente devoti ad essi. Sul Calvario si trattenne più a lun­go, chiedendo a sua Maestà che la sua passione e morte, avvenute lì, avessero efficacia per tutti. Diventò a tal punto ardente nella sua ineffabile carità che la sua vita si sa­rebbe consumata se non le fosse stata preservata dalla for­za superna.

Immediatamente il Signore discese dall’empireo e le rispose: «Mia colomba e mia collaboratrice nell’opera della salvezza, le vostre aspirazioni e implorazioni sono giunte al mio orecchio e al mio cuore. Vi prometto che sarò generosissimo con gli uomini, dispensando costante­mente aiuti e favori affinché con la loro libera volontà pos­sano conquistare in virtù delle mie piaghe la felicità che io tengo loro preparata, qualora essi stessi non la spregi­no. In paradiso voi sarete loro mediatrice ed avvocata, ed io riempirò dei miei doni e delle mie inesauribili miseri­cordie tutti coloro che si guadagneranno la vostra inter­cessione». Ella, prostrata ai suoi piedi, lo ringraziò e gli domandò che su quel medesimo monte, consacrato col suo sangue prezioso, le impartisse la sua ultima benedizione. Acconsentì, le confermò il suo impegno di eseguire ciò che aveva detto e se ne andò. Maria fu sollevata nelle sue pe­ne di amore e, continuando tale esercizio con la sua reli­giosa pietà, baciò il suolo e lo venerò proclamando: «Ter­ra santa, da lassù ti osserverò con l’ossequio che ti devo nella luce che manifesta tutto nella sua fonte ed origine, da cui uscì il Verbo che nella carne ti arricchì». Poi, inca­ricò ancora gli spiriti sovrani di custodire quei luoghi e di soccorrere con le loro ispirazioni chi li avrebbe visitati con riverenza, perché riconoscesse e apprezzasse l’immenso be­neficio derivante da quanto era stato realizzato in essi. Rac­comandò anche che difendessero quei santuari e, se la te­merarietà e i peccati non avessero messo ostacolo a que­sto, indubbiamente li avrebbero protetti dai pagani, impe­dendo loro di profanarli; tuttavia, in parecchie cose l’han­no fatto sino ad oggi.

Invitò costoro e l’Evangelista a benedirla, e tornò al suo oratorio in pianto e traboccante di affetto per quello che tanto teneramente aveva caro. Si stese con il volto nella polvere ed elevò un’altra preghiera, perseverando fin­ché, tramite una visione astrattiva, Dio le rivelò che le sue petizioni erano state intese ed esaudite nel tribunale della sua clemenza. Per dare pienezza di perfezione alle sue azioni, volle ottenere l’autorizzazione di congedarsi dalla comunità ecclesiale e gli si rivolse così: «Mio sommo Be­ne, redentore di tutti, capo dei beati e dei predestinati, giu­stificatore e glorificatore delle anime, io sono figlia della Chiesa, che è stata acquistata e piantata con il vostro san­gue. Accordatemi di accomiatarmi da una madre così be­nevola e dai fratelli che ho in essa». Comprese il benepla­cito del suo Unigenito e tra i sospiri parlò:

«Chiesa santa e cattolica, che nei secoli futuri sa­rai chiamata romana, mio autentico tesoro, tu sei stata l’u­nica consolazione del mio esilio, tu il rifugio e il sollievo dei miei travagli, tu il mio conforto, la mia gioia, la mia speranza; tu mi hai accompagnato nel cammino; in te ho dimorato da viatrice e tu mi hai sostenuto, dopo che in te ho ricevuto la vita della grazia per mezzo di Cristo Gesù. In te sono depositati i suoi incommensurabili meriti, tu sei per i suoi discepoli il certo transito alla terra promessa e tu fai sicuro il loro pericoloso e difficile pellegrinaggio. Tu sei la signora delle genti, alla quale spetta devozione da parte di tutti; in te le angustie, le tribolazioni, i vilipendi, i sudori, i tormenti, la croce, la morte sono gemme ine­stimabili, consacrate con la passione del tuo Maestro e pa­dre, e riservate ai suoi più fedeli servi e più intimi amici. Tu mi hai adornata dei tuoi gioielli perché entrassi alle nozze; tu mi hai resa prospera e lieta, e hai in te il tuo Autore sotto le specie sacramentali. O fortunata Chiesa mi­litante! Sei sovrabbondante di ricchezze! In te ho sempre posto tutto il mio cuore e tutti i miei pensieri, ed è già ora di partire e di abbandonare la tua soave vicinanza per ar­rivare al termine del mio viaggio. Applicami l’efficacia di tanti beni, bagnami copiosamente con il sangue dell’A­gnello, che è potente per santificare molti mondi. Io desi­dererei, a costo di mille vite, fare tue tutte le generazioni e le nazioni, affinché godano di te. Mio onore, ti lascio nel­l’esistenza peritura, ma in quella perpetua ti troverò giu­bilante in colui che racchiude ogni cosa. Di là ti guarderò con dolcezza e chiederò incessantemente che tu cresca e progredisca felicemente».

In questo modo si licenziò dal corpo mistico della santa Chiesa cattolica e romana, per insegnare ai suoi mem­bri, quando ne fosse giunta loro notizia, la sua considera­zione, il suo riguardo e il suo rispetto per essa, fornendo come attestato così pietose lacrime e così delicate espres­sioni. Quindi, nella sua sapienza determinò di formulare il suo testamento e palesò tale aspirazione alla Trinità, che decise di accettarla con la sua presenza regale e, discesa a lei con miriadi di angeli che stavano presso il suo trono, dopo essere stata adorata disse: «Sposa da noi prescelta, di­sponete la vostra ultima volontà, poiché sarà confermata e adempiuta dal nostro illimitato potere». La prudentissima Vergine si arrestò un po’ nella sua sconfinata umiltà, per­ché prima di dichiarare la propria aspettava di ascoltare quella dell’Altissimo, che la assecondò affermando: «Mia eletta, il vostro volere mi sarà gradito; non privatevi del va­lore delle vostre opere nel prepararvi al trapasso, giacché sarete da me soddisfatta». Il Salvatore e lo Spirito ribadi­rono lo stesso ed ella ordinò il suo testamento come segue:

«Eccelso Signore, io, vile verme, vi venero dal profondo con la massima riverenza e vi confesso tre Per­sone in un medesimo essere indiviso ed eterno, una so­stanza, una maestà infinita negli attributi e nelle preroga­tive, che tutto avete creato e tutto conservate. Non ho ave­ri materiali da cedere, non avendo mai cercato altro fuor­ché voi, che siete ogni mio bene. Ringrazio i cieli, le stel­le, i pianeti, gli elementi e tutto il resto poiché, assoggettandosi a voi, mi hanno sostentato senza che ne fossi de­gna. Domando loro di obbedirvi e celebrarvi negli incari­chi che avete imposto, e di beneficare gli uomini; perché lo facciano meglio, trasferisco a questi il possesso – e per quanto è possibile pure il dominio – che mi avete conces­so su di essi. Giovanni avrà due vesti e un mantello che ho usato per coprirmi, essendo per me come un figlio. Sup­plico la terra di accogliere la mia salma, dal momento che è madre comune del genere umano. Consegno nelle vostre mani la mia anima, spogliata della carne e di quello che è visibile, affinché vi ami ed esalti perennemente. Nomino la Chiesa erede universale di tutto ciò che ho acquistato con il vostro soccorso e con i miei atti, e vorrei che fosse assai di più. In primo luogo bramo che sia utile per la ma­gnificazione del vostro nome, e perché la vostra volontà sia fatta in cielo come in terra e tutti i popoli vi conosca­no e vi rendano culto».

«In secondo luogo l’offro per gli apostoli e per i sa­cerdoti presenti e futuri, perché per la vostra ineffabile cle­menza siano idonei al loro ministero, ed edifichino con pie­nezza di scienza e di virtù coloro che avete redento con il vostro sangue. In terzo luogo lo dono per il profitto spiri­tuale dei miei devoti che mi invocheranno, perché riceva­no la vostra protezione e infine la beatitudine. In quarto luogo vi scongiuro di ritenervi impegnato dalle mie fatiche a favorire i peccatori, perché escano dal triste stato della colpa, e da adesso mi propongo di intercedere per loro per i secoli dei secoli. Ecco che al vostro cospetto ho procla­mato la mia ultima volontà, sempre sottomessa alla vostra». Dio approvò tutto e Cristo firmò, scrivendole nel cuore que­ste parole: «Si compia quello che volete e stabilite».

Quando anche noi mortali, specialmente se nati nella legge di grazia, non avessimo altra obbligazione ver­so Maria che questa di essere divenuti eredi dei suoi enor­mi meriti e di quanto è contenuto nel suo breve e arcano testamento, non potremmo contraccambiare neppure qua­lora dessimo la vita sostenendo i tormenti dei più eroici martiri. Non adduco poi alcun paragone con il nostro de­bito per gli immensi meriti che Gesù ci ha lasciato, poi­ché non ne trovo. Quale scusa esibiranno dunque i repro­bi, che non si avvalsero né degli uni né degli altri, ma li trascurarono e dimenticarono? Che strazio e dispetto sarà il loro allorché, senza rimedio, capiranno di aver perso de­finitivamente tanti tesori per un diletto passeggero? Am­metteranno allora la rettitudine con cui a ragione saranno castigati e allontanati dal Maestro e dalla pietosissima Si­gnora, che con stolta temerarietà spregiarono.

Quindi, la Regina rese grazie all’Onnipotente e, chiesta licenza di presentargli un’altra implorazione, sog­giunse: «Padre delle misericordie, se sarà di vostro ap­prezzamento e a vostra gloria, desidero che assistano al mio transito gli Undici, vostri unti, con gli altri discepoli, affinché preghino per me ed io parta con la loro benedi­zione». Il suo Unigenito le rispose: «Mia colomba, già ven­gono a voi: quelli che sono vicini giungeranno presto, men­tre a quelli che sono distanti invierò i miei angeli perché li trasportino qui. È, infatti, mio beneplacito che in tale circostanza vi siano tutti accanto, per consolazione vostra e anche loro, e per ciò che sarà a mio e vostro maggiore onore». Ella, prostrandosi al suolo, lodò la Trinità , che su­bito tornò all’empireo”

Già si avvicinava il giorno stabilito perché la viva e vera arca dell’alleanza fosse collocata nel tempio della celeste Gerusalemme, con maggior splendore e giubilo di quello con cui la sua figura era stata fatta introdurre da Salomone nel santuario, sotto le ali dei cherubini. Tre gior­ni prima del felicissimo transito, gli apostoli e i discepoli si trovarono riuniti nella casa del cenacolo. Arrivò innan­zitutto Pietro, trasportato da un angelo che gli era appar­so a Roma e, annunciandogli che era ormai imminente la dipartita di Maria beatissima, gli aveva comandato da par­te del Salvatore di esservi presente. La sovrana del mondo stava ritirata nel suo oratorio, con le energie corporali al­quanto abbandonate a quelle dell’amore dell’Altissimo, poi­ché, essendo tanto prossima all’ultimo fine, partecipava con più efficacia delle sue qualità.

Ella gli andò incontro sulla porta della propria stanza e, postasi ai suoi piedi, gli domandò la benedizio­ne e proclamò: «Ringrazio e lodo l’Onnipotente per aver­mi condotto qui il mio Santo Padre, affinché mi assista nell’ora della morte». Entrò poi Paolo, e anch’egli ebbe la medesima dimostrazione di rispetto e del piacere che ave­va di vederlo. La salutarono come Madre di Dio, loro re­gina e signora di ogni realtà creata, con non meno soffe­renza che venerazione, sapendo di essere accorsi al suo fortunato trapasso. Fecero lo stesso gli altri, che giunsero dopo di loro e furono accolti con profonda sottomissione, riverenza e dolcezza. Per ordine di lei, Giovanni e Giaco­mo il Minore provvidero ad alloggiarli tutti comodamente.

Alcuni di essi, che erano stati accompagnati dai ministri superni ed informati del motivo della loro venu­ta, si infervorarono con immensa tenerezza considerando che sarebbero stati privati della loro unica difesa e conso­lazione, e sparsero abbondanti lacrime. Altri, invece, erano all’oscuro di tutto, giacché non avevano ricevuto un av­viso esteriore, ma solo ispirazioni interiori con un soave e forte impulso, grazie al quale avevano conosciuto che era volontà divina che si recassero immediatamente là; subito interrogarono il capo della Chiesa per essere rischiarati su quanto stava accadendo, perché giudicavano concorde­mente che se non ci fosse stata una novità non avrebbero avvertito una simile spinta, ed egli li radunò e parlò: «Miei figli e fratelli, sua Maestà ci ha chiamato e raccolto da luo­ghi così remoti per una causa grande e di nostro sommo dolore. Intende portare senza più indugio al trono della sua gloria colei che è nostra guida, nostra protezione e no­stro conforto, e ha determinato che le stiamo accanto in questo momento. Quando ascese alla destra dell’Eterno, pur restando orfani della sua adorabile vicinanza, ci fu la­sciata la Vergine come nostro rifugio e ristoro nell’esisten­za terrena; ma adesso che la nostra luce si allontana, che cosa faremo? Quale sollievo avremo? E quale speranza, che ci rincuori nel nostro pellegrinaggio? Non ne scopro altra se non quella che certamente un giorno la raggiungeremo».

Non riuscì a continuare, impedito dai gemiti e dai singhiozzi che non fu in grado di trattenere, e nessuno poté aprir bocca per un buono spazio di tempo, durante il qua­le tutti piansero copiosamente. Appena si fu fatto animo per riprendere il discorso, soggiunse: «Affrettiamoci ad en­trare al suo cospetto: stiamo con lei nel breve tratto di cammino che le rimane e chiediamole di concederci la sua benedizione». Lo seguirono dalla loro Maestra, che era in ginocchio su una piccola predella che teneva per reclinar­si allorché riposava un po’, e la scorsero bellissima, piena di fulgore e scortata dai mille custodi.

Dall’età di trentatré anni non aveva subito cambia­menti nel suo corpo e nel suo volto, sacri e castissimi, né aveva sentito gli effetti della vecchiaia, né aveva avuto mai rughe, né era divenuta più debole, né era dimagrita, come suole avvenire agli altri discendenti di Adamo, che perdono vigore e si sfigurano rispetto a come erano nella gioventù o nella maturità. Questa immutabilità fu un suo privilegio sin­golare, sia perché corrispondeva alla stabilità della sua pu­rissima anima, sia perché derivò dalla sua immunità dal pec­cato originale, le cui conseguenze non arrivarono a sfiorar­la. Tutti si posero con ordine presso di lei, e Pietro e Gio­vanni si misero al capezzale. Maria, osservandoli con la sua consueta modestia e deferenza, si rivolse loro così: «Caris­simi, date licenza alla vostra ancella di manifestarvi i suoi desideri». Il principe del collegio apostolico affermò che le avrebbero prestato ogni attenzione e avrebbero adempiuto ogni suo comando, ma la invitava a sedersi; gli pareva, in­fatti, che dovesse essere assai affaticata per essere stata tan­to a lungo in tale posizione, che, se era opportuna per pre­gare, non lo era per conversare con loro.

Ella, che era Regina dell’umiltà e dell’obbedienza, decisa a praticare queste virtù fino alla morte e anche in quell’ora, asserì che li avrebbe ascoltati in quanto le do­mandavano e li implorò di benedirla. Con il consenso del vicario di Cristo, si genuflesse davanti a lui e dichiarò: «Si­gnore, in qualità di pastore universale, vi supplico di im­partirmi la benedizione a nome vostro e della Chiesa e di perdonarmi se vi ho poco servito nella mia vita, affinché salga a quella imperitura. Qualora sia di vostro gradimen­to, permettete che Giovanni disponga delle mie vesti, che consistono in due tuniche, donandole a delle donne pove­re che mi hanno costantemente legato a sé con la loro bontà». Quindi, prona ai suoi piedi, li baciò con fiumi di lacrime e con non minore meraviglia che commozione di tutti. Passò al prediletto e, stando abbassata, gli disse: «Scu­satemi se non ho esercitato come avrei dovuto l’incarico che il mio Unigenito mi affidò quando dalla croce nominò voi mio figlio e me vostra madre. Con ossequio e gratitu­dine vi rendo grazie per la pietà con la quale mi avete as-

sistito. Beneditemi per la mia partenza verso colui che mi ha creata, per gioire perennemente della sua compagnia».

Si accomiatò allo stesso modo da ciascuno degli apostoli e da alcuni discepoli, e successivamente dai nu­merosi circostanti insieme. Terminato ciò, si alzò e pro­clamò: «Siete stati ininterrotamente incisi nel mio intimo e vi ho voluto teneramente bene con l’ardore comunicato­mi dal mio Gesù, che ho sempre visto in voi come in suoi eletti e amici. Per suo beneplacito vado alle dimore cele­sti, dove vi prometto di avervi presenti nel nitidissimo chia­rore dell’Onnipotente, la cui contemplazione bramo ed at­tendo con sicurezza. Vi raccomando la comunità ecclesia­le, l’esaltazione dell’Altissimo, la propagazione del Vange­lo, la stima e l’apprezzamento degli insegnamenti del Re­dentore, la memoria delle sue opere e della sua passione e l’attuazione dei suoi precetti. Amate la Chiesa e amatevi gli uni gli altri con quel vincolo di carità e di pace che ave­te appreso dal vostro Maestro. E nelle vostre mani, o pon­tefice, rimetto Giovanni e gli altri».

Tacque e le sue espressioni, come dardi di fuoco di­vino, penetrarono nei cuori liquefacendoli; tutti, prorom­pendo in dimostrazioni di incontenibile dolore, si prostra­rono al suolo e con i loro singhiozzi toccarono profonda­mente la dolcissima Vergine. Anch’ella pianse, non impo­nendosi di resistere a così amari e appropriati gemiti, e poi li esortò a raccogliersi silenziosamente in orazione con lei e per lei. In tale placida quiete venne il Verbo incarnato su un trono d’ineffabile splendore, scortato da tutti i santi di natura umana e da tantissimi angeli di ogni coro, riem­piendo di luce la casa del cenacolo. L’innocentissima so­vrana delle altezze lo adorò, gli baciò i piedi e, stesa al suo cospetto, compì l’estremo atto di riconoscenza e di umiliazione della sua esistenza terrena, annientandosi e piegan­dosi sino alla polvere più quanto non abbiano mai fatto né faranno mai tutti gli uomini dopo aver peccato. Egli la be­nedisse e le parlò: «Mia carissima, che ho scelto come mia abitazione, è giunta per voi l’ora di essere introdotta nella gloria del Padre e mia, dove è preparata alla mia destra la sede di cui godrete per l’eternità. Poiché come Madre mia vi feci entrare nel mondo libera ed esente dalla colpa, nep­pure adesso che ne uscite la morte ha diritti su di voi: se non volete passare per essa, venite con me a prendere pos­sesso di quello che avete largamente meritato».

Con volto lieto gli rispose: «Mio Signore, vi scon­giuro che la vostra ancella acceda alla vita beata attraver­sando la porta comune della morte come gli altri discen­denti di Adamo. Voi che siete mio vero Dio la soffriste sen­za esservi obbligato ed è giusto che, come ho cercato di seguirvi nella vita, vi segua anche nella morte». Il Salva­tore approvò il suo sacrificio e affermò che si sarebbe adempiuto ciò che desiderava. Subito i ministri superni co­minciarono a intonare con sublime armonia qualche ver­setto del Cantico dei cantici e altri nuovi. Sia gli Undici e i discepoli sia molti devoti li percepirono con i sensi, ben­ché soltanto alcuni apostoli, tra i quali Giovanni, fossero illuminati in maniera singolare sulla presenza di Cristo, mentre gli altri avvertivano dentro di sé straordinari ed ef­ficaci effetti. Si diffuse una fragranza inebriante, che as­sieme alla musica si sentiva fin dalla strada; inoltre, tutti videro il mirabile fulgore che avvolgeva quel luogo e sua Maestà dispose che, affinché fosse testimone di una simi­le meraviglia, accorresse tanta gente da occupare le vie.

Quando udì la melodia, Maria si reclinò sulla sua predella, con la tunica come unita alla sua persona, con le mani giunte e lo sguardo fisso su suo Figlio, e completa­mente accesa nel suo fervore. Alle parole “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata”, ella pronunciò quelle del suo Unigenito sul duro legno: «Padre, nelle tue mani con­segno il mio spirito». Quindi, chiuse i suoi purissimi oc­chi e spirò. La malattia che le fu fatale fu l’amore, senza indisposizioni o malesseri, e il suo transito avvenne allor­ché il potere del Creatore sospese l’intervento miracoloso con cui conservava le sue forze in modo che non fossero dissolte dalle fiamme provocate dal suo ardore, permet­tendo a queste di consumare la linfa del cuore.

La sua candida anima lasciò il castissimo corpo e in un istante fu collocata con immenso onore accanto a Gesù. Immediatamente, le note celesti iniziarono ad al­lontanarsi nell’aria, perché quella solenne processione si avviò verso l’empireo. Il sacro corpo, che era stato tempio e tabernacolo del Dio vivente, restò pieno di radiosità e profumava al punto che coloro che lo attorniavano erano colmati di soavità interiore ed esteriore. I mille custodi del­ la Regina si fermarono a proteggere tale inestimabile te­soro, mentre i fedeli, tra lacrime di afflizione e di giubilo per i prodigi che contemplavano, rimasero per un po’ di tempo come assorti e poi elevarono numerosi inni e salmi in suo ossequio. Ciò accadde di venerdì, alle tre del po­meriggio, alla stessa ora in cui aveva esalato l’ultimo re­spiro il nostro Redentore. Era il tredici agosto ed ella ave­va settant’anni, meno i ventisei giorni che intercorrono tra questa data e l’otto settembre. Dopo la crocifissione del no­stro Maestro si trattenne quaggiù ventuno anni, quattro mesi e diciannove giorni, e mori cinquantacinque anni do­po il suo parto verginale. Il calcolo si fa facilmente così: aveva quindici anni, tre mesi e diciassette giorni alla na­scita del Signore, che fu ucciso a trentatré anni e tre mesi, cioè quando ella aveva quarantotto anni, sei mesi e di­ciassette giorni; se a questi si aggiungono altri ventuno an­ni, quattro mesi e diciannove giorni, si hanno i settant’anni meno venticinque o ventisei giorni.

In quell’occasione si verificarono grandi portenti. Il sole si eclissò e nascose la sua luce in segno di lutto per alcune ore; parecchi uccelli di diverse specie volarono al­la casa e resero alla Principessa il loro omaggio funebre con canti di lamento e con gemiti, che suscitavano il pian­to in chiunque li ascoltava; si commosse l’intera Gerusa­lemme e molti arrivavano stupiti, confessando ad alta vo­ce la potenza dell’Eterno e la magnificenza delle sue ope­re; altri apparivano attoniti e come fuori di sé, e i credenti si struggevano tra singhiozzi e sospiri; vennero anche tan­ti infermi e furono guariti; uscirono dal purgatorio quan­ti vi si trovavano. L’evento più eccezionale riguardò un uo­mo e due donne che abitavano vicino al cenacolo, che tra­passarono insieme alla nostra sovrana in stato di peccato e senza penitenza: stavano andando alla dannazione, ma, allorché la loro causa giunse al giudizio di Cristo, la dol­cissima Madre domandò misericordia, furono restituiti al­la vita e successivamente si ravvidero e si salvarono. Que­sto dono non si estese a tutti coloro che decedettero in ta­le giorno nel mondo, bensì solo a costoro, che si spense­ro al medesimo orario nella città santa. Parlerò in un al­tro capitolo della festa che ci fu in paradiso, per non me­scolarla con il nostro cordoglio” .

Conoscere questi particolari della vita della Madonna, ci aiuta a comprendere la grandezza della Vergine Maria, della sua grande devozione verso Dio e del suo infinito amore verso suo figlio Gesu’ e verso ogni essere umano , che ha accolto come Madre nel suo cuore.

Questa testimonianza ci chiarisce anche il senso delle continue apparizioni Mariane avvenute sulla Terra in ogni tempo, tutte con un unico obiettivo : “ far conoscere l’Amore di Cristo ad ogni creatura”!.

Pubblicato da Maximo De Marco

International Art Director Member tho UNESCO, Art Director GMG and Friends di Papa Francesco, SCrittore & Regista convertito.